Significato psicologico dell’avarizia patologica

Significato psicologico dell’avarizia

Avarizia. Sono convinto che tutte le persone che leggeranno questo articolo saranno convinte di non avere questo vizio…. oggi vi parlerò di avarizia. È molto difficile, se non impossibile, conoscere una persone che si consideri avara. Personalmente non ho mai sentito nessuno definirsi avaro, anche se ne conosco più di uno. Non è poi così difficile trovare persone che non mettono mai mano al proprio portafoglio, che non invitano mai gli amici a casa propria o che l’ultima volta che sono entrati in un negozio non c’era ancora il registratore di cassa. Il vero avaro non è capace di spendere i propri soldi; non è disposto né di spendere né di donare le proprie cose, in primis i propri soldi.

L’avarizia è l’attitudine delle persone a conservare quello che possiedono. L’avarizia è diversa dall’avidità: l’avidità è l’attitudine delle persone ad aumentare quello che posseggono mentre l’avarizia è quell’attitudine a trattenere ogni bene materiale (soldi ma non solo).

Quale spiegazione psicologica?

Per la psicoanalisi la causa dell’avarizia nasce durante la fase di sviluppo anale, quella in cui il bambino inizia ad usare il vasino. Questa teoria è anche suffragata dal fatto che l’avaro, molto spesso, soffre di stipsi.

Secondo Freud, l’inventore della psicoanalisi, lo sviluppo del bambino è diviso in varie fasi: la fase orale, la fase anale e la fase genitale.

Una visione psicoanalitica

Nella fase orale il bambino conosce il mondo attraverso la bocca ed, essendo la prima fase in cui il bambino è completamente egocentrico, è caratterizzata dal piacere. Nella fase anale il bambino inizia ad uscire dal proprio egocentrismo, impara a gestire il proprio corpo iniziando a gestire gli sfinteri, ed è proprio in questa fase che inizia ad usarli per far contenta o meno la madre, fonte di amore, ma anche di sofferenza quando si sente abbandonato. Dopo questa fase c’è la fase genitale che lo porterà all’organizzazione della propria personalità adulta, passando attraverso il complesso d’Edipo.

La teoria di Freud è ancora valida

Per Freud sarebbe proprio durante la fase anale che il bambino apprenderebbe questo comportamento, a capire che dare o trattenere le proprie feci gli dà un certo potere affettivo nei confronti di “quell’oggetto” d’amore onnipotente che è la madre. Se il bambino ha una madre anaffettiva, poco presente o controllante, il bimbo inizia ad abusare di questo potere che prima non sapeva d’avere. Da adulto replicherebbe semplicemente un atteggiamento comportamentale appreso in tenera età, diventando un avaro patologico. Avaro è anche chi non riesce ad avere una relazione stabile solo per paura di dover condividere il proprio tempo, i propri spazi, ed infine, i propri averi con un’altra persona.

Si diventa avari anche per imitazione o, al contrario, per reazione ad un mito familiare. Ci sono casi in cui un “mito” (regola implicita od esplicita di una famiglia) familiare è: non spendere mai i propri soldi. I figli possono fare propri i “miti” familiari apprendendo per imitazione questo comportamento. Esiste anche il rovescio della medaglia (in psicologia questa è una regola onnipresente) perché si possono trovare figli di genitori avari che si sono dimostrati dei veri e propri spendaccioni, solo per reazione ad un comportamento che li aveva fatti sentire infelici.

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L’avaro non è una persona cattiva. L’avaro è un iper-controllante, di solito è una persona machiavellica, è sospettoso e, in fin dei conti, è molto ansioso. La sua più grande paura che non riesce a controllare è la paura di dare, di perdere quello che ha. L’avaro vive inconsciamente la grande paura di essere abbandonato o dimenticato se si lascia andare e se si libera dei propri affetti materiali. Il taccagno non è altro che un bambino cresciuto che cerca di attirare le attenzioni di una madre abbandonica o anaffettiva attraverso le cose che possiede: da infante le feci, da grande i soldi.

Lo spilorcio vive male, ma vivrebbe ancora peggio se si permettesse di cambiare e di condividere, perché perderebbe il controllo che ha sugli altri, controllando i propri averi materiali che per lui hanno un significato affettivo.

Come uscirne?

Uscire da questo “vizio capitale” non è facile. Principalmente perché è un disturbo egosintonico. Le persone che ne soffrono non lo sentono e non lo vivono come un disturbo. Per l’avaro essere generosi vuol dire essere stupidi ed essere disponibili vuol dire essere opportunisti. Sono sempre gli altri che vogliono approfittarsi di lui e che vogliono le sue cose senza far fatica. L’avaro soffre di una ferita narcisistica inflitta da una madre anaffettiva o controllante. Non si sente amato, non si riconosce come persona meritevole d’amore e solo i propri averi gli danno serenità. Per cambiare questo schema mentale molto profondo, bisogna lavorare con i bisogni, i desideri primari che la persona non ha vissuto in tenera età ed insegnargli a viverli ora.