Dolore psicologico. Perché sempre più giovani si tagliano?

procurarsi dei tagli

Sempre più spesso tra gli adolescenti si sente parlare di cutting. Il dolore psicologico emotivo viene sperimentato con il dolore fisico.

Ma cos‘è il cutting?

E‘ un termine inglese che indica una pratica singolare consistente nel praticarsi tagli sul corpo. Normalmente i tagli vengono praticati sulle braccia e non sono mai lacerazioni che mettono in pericolo la vita del soggetto. Solamente in alcuni casi possono portare a dei ricoveri e ciò avviene quando per errore il taglio è più profondo. Il cutting non ha nulla a che vedere con un tentato suicidio o un vero e proprio suicidio. Chi pratica il cutting non lo fa nemmeno come gesto dimostrativo, perché tende a nascondere sotto le maniche delle maglie i tagli stessi.

Quindi, il cutting non è un gesto dimostrativo e non è un sistema per farla finita. E‘ solamente un gesto autolesionistico.

AUTOLESIONISMO il termine “autolesionismo” deriva dal pronome greco αὐτός, che ha valore enfatico, e dal verbo latino laedo (danneggiare), letteralmente “danneggiare se stessi”. L’atto più comune con cui si presenta l’autolesionismo è il taglio superficiale alla pelle ma esso comprende anche il bruciarsi, infliggersi graffi, colpire una o più parti del corpo, mordersi, tirarsi i capelli e l’ingestione di oggetti o di sostanze tossiche.

Molte persone si potrebbero chiedere perché un ragazzo sente il bisogno di praticarsi tagli, di bruciarsi o di graffiarsi le braccia.

La risposta non è nemmeno tanto difficile da comprendere.

Praticandosi dei tagli superficiali l’adolescente si autoinfligge un dolore sopportabile, ed in questo modo riesce a viversi il dolore a livello fisico, un dolore che non riesce ad esprimere, un dolore che non riesce nemmeno a decodificare. Il dolore è l’espressione di una serie di emozioni, ma se il ragazzo non ha le strutture e la cultura “intelligenza emotiva” per lavorare con le proprie emozioni, si sente disarmati.

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Il disagio che vivono i ragazzi che si tagliano è molto profondo ed intenso. L’unico modo che conoscono per esprimerlo è procurarsi del dolore fisico. Lo stato fisico è più primordiale e quindi più facile da comprendere e da rielaborare.

Il dolore che sia emotivo, psicologico o fisico ha delle radici comuni. Il malessere nasce sempre da un conflitto, da qualcosa che ci colpisce. Il dolore psicologico-emotivo può nascere dalla difficoltà di esprimersi liberamente, dalla difficoltà che un adolescente incontra quando esce dalla cerchia affettiva familiare, per entrare in quella sociale.

L’adolescenza non è una fase di crescita facile, perché ti costringe a fare i conti con te stesso e l’adolescente deve per la prima volta mettersi alla prova con i propri pari che diventano il vero punto di riferimento. Può succedere che per mancanze soggettive (bassa autostima, difficoltà relazionali, bisogno di primeggiare ecc.) l’adolescente si trovi ad affrontare situazioni che trova insopportabili.

Queste situazioni creano forti tensioni, che a loro volta creano un forte dolore emotivo. Se il ragazzo non trova nessuno per parlarne e per condividere questo dolore, lo stesso dolore non ha possibilità di essere espresso, e trova una propria espressione attraverso l’autolesionismo.

Di solito gli adolescenti trovano nei gruppi web e nelle chat degli spazi per condividere le proprie esperienze e, solamente attraverso relazioni virtuali, possono parlare del proprio vissuto.

Cosa si può fare?

Quando si parla di dolore bisogna comprendere che la cosa migliore è accettarlo ed esprimerlo per poterlo rielaborare. Il dolore può essere espresso attraverso le parole o attraverso il fisico.

Per non esprimerlo attraverso il soma bisogna imparare ad usare le altre espressioni del dolore: la parola, il movimento, l’arte o la meditazione.

Riconoscere le emozioni è il primo passo per poterle definire ed accettare. Parlare di emozioni sia a casa sia a scuola è un ottimo modo per non temerle e per non negarsele. Per non regredire ad uno stadio più primordiale bisogna imparare ad elevarsi attraverso la parola, ma non solo, anche attraverso delle forme d’arte come musica, pittura o sport. I genitori e le istituzioni dovrebbero insegnare ai ragazzi che praticano queste forme di autolesionismo che le emozioni che si vivono non sono emozioni negative ma sono solo un modo che hanno il nostro corpo e la nostra mente di inviarci dei messaggi ed i messaggi vanno solo ascoltati e non negati.