Essere resiliente.

ristrutturazione cognitiva

Essere resiliente.  Cosa vuol dire essere resiliente. Molte persone pensano pensano che essere resiliente vuol dire essere forti. Invece essere resiliente non vuol dire essere forti, bensì saper rimanere nella frustrazione.

Un’altra caratteristica fondamentale di chi è resiliente è la capacità di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma non solo. La persona resiliente vede anche dove è appoggiato il bicchiere, riconosce tutti i particolari e non si ferma al bicchiere. Cosa vuol dire? Vuol dire che la persona resiliente è capace di dare uno sguardo d’insieme e non si ferma sul particolare, magari quello negativo.

Nel libro “Resisto dunque sono” dello psicologo Trabucchi, ci sono aneddoti personali e racconti di vere amicizie con gli atleti menzionati. In uno di questo racconti viene riportato un caso emblematico di cosa vuol dire ristrutturazione cognitiva. In un corso un allievo dimostrava una notevole capacità nella gestione dello stress. Quando lo psicologo gli chiese come facesse. Il corsista rispose: ogni impedimento è giovamento.

Questa semplice, innocua e facile frase racchiude una grande forza. Il corsista disse che gliel’aveva detta più volte il padre quando era piccolo. Lui la fece diventare, prima un dato di fatto, poi un atteggiamento, ed infine un comportamento.

Per capire appieno la forza distruttrice o costruttrice della valutazione cognitiva, bisogna ritornare all’articolo precedente. Vi ricordate quant’è importante saper dare una direzione alla propria vita?

Bisogna capire bene che gli stressor (malattie, separazioni, disastri naturali o semplici fallimenti) non sono eventi oggettivi e l’essere umano un birillo che viene investito, in modo passivo. L’essere umano può sempre apportare dei cambiamenti sia dentro se sé stesso sia fuori.

Un evento rimane sempre sé stesso, ma siamo noi che gli attribuiamo un preciso significo, che dipende dalle nostre esperienze, dall’educazione, dalla società e dal gruppo d’appartenenza.

Ora una domanda potrebbe farsi breccia in voi. Se è la nostra valutazione cognitiva a fare la differenza, perché continuiamo dopo millenni a soffrire? Non ci siamo ancora evoluti verso un benessere che ci protegga dai fattori stressanti? Le statistiche direbbero di no, visto il costante aumento delle psicopatologie correlate allo stress.

La risposta è che al nostro cervello non interessa vivere la realtà, la vuole creare lui. Perché lo fa? Ma per il semplice motivo che ci vuole bene e cerca di proteggerci e l’unico modo che ha imparato è salvaguardare la nostra autostima.

Se volete sapere come il cervello manipola la realtà vi rimando agli articoli sul cervello cocciuto, immorale e illusionista.

Prima della realizzazione del passante di Mestre, molti di voi si ricorderanno le quotidiane, interminabili e lunghissime code sulla tangenziale di Mestre.

Un giorno mi trovavo in auto con degli amici e un po’ tutti eravamo stressati per il tempo trascorso, imbottigliati nel traffico. Un mio amico in particolare si lamentava per l’infinita lentezza delle auto e si viveva la situazione in modo angoscioso. L’autista dopo aver ascoltato l’ennesima lamentela, del tutto comprensibile del resto, disse: tanto, tutta questa gente dovrà andare a mangiare prima o poi.

Lo disse sorridendo sapendo bene che, anche se era un’ovvietà, personalmente questo pensiero lo faceva stare meglio. Questo pensiero gli permetteva di vedere la situazione come dinamica e instillava la speranza che le strade si liberassero in un tempo prestabilito. Personalmente questa frase mi rilassò e iniziai vedere e a vivermi la stessa situazione con un atteggiamento diverso. Il mio amico anche senza saperlo era riuscito a ristrutturarmi cognitivamente.